L’identità sociale ed i programmi gestione della malattia cronica
Lo studio dimostra come l’identificazione sociale possa promuovere l’autoefficacia e stimolare i risultati positivi in una buona gestione della salute
Una delle caratteristiche che più hanno caratterizzato il secolo scorso è stata l’aumento dell’età media e invecchiamento della popolazione, elemento che si associa a cambiamenti sociali e trasformazioni multiple. Con l’aumento dell’età media della popolazione sembrano presentarsi nuovi compiti di sviluppo che si associano ad un diminuito stato di salute e un progressivo aumento delle malattie croniche. Una delle sfide che maggiormente questa condizione pone in essere è la possibilità di promuovere e affinare strategie che possano condurre verso un miglioramento nella gestione di tali condizioni e che sappia, quindi, tenere conto delle dimensioni emozionali, della gestione della cronicità nel contesto delle relazioni e ridurre al minimo i costi della spesa sanitaria. Per queste ragioni, sempre più attenzione è stata data alle dimensione dell’autogestione e del self-management nelle malattie croniche, come dimensioni che possano completare l’educazione al paziente attraverso lo sviluppo di abilità di problem-solving e di presa delle decisioni, flessibilmente adottate anche ai cambiamenti delle circostanze e a quelli della specifica condizione cronica. Se da un lato esistono prove dell’efficacia dei meccanismi dell’autogestione, le domande rimangono ancora aperte rispetto a quali variabili possano modulare e interferire efficacemente sui meccanismi dell’autogestione. Il presente studio ha analizzato il potente ruolo assunto da variabili quali il senso di identità, appartenenza ad un gruppo e direzionalità verso uno scopo sui meccanismi dell’autogestione. Questo partendo dall’assunto di come gli essere umani persistano, affrontino e fronteggino una data condizione critica, più che come individui isolati, come membri appartenenti ad un gruppo sociale. Una delle condizioni centrali rispetto alla dimensione dell’autogestione sembra ben rappresentata dalle convinzioni di autoefficacia, costrutto con il quale Albert Bandura nel 1986 si riferiva al sistema di “credenze degli individui nelle proprie capacità di eseguire piani di azioni” e che ha rappresentato uno degli elementi chiave dei programmi di autogestione organizzato dal Patient Education Research Center di Stanford (Lorig et al., 1996), svolti in sessioni di 2 h ciascuna per sei settimane (CDSMP), volti a stimolare le capacità di autogestione e sostenere i pazienti nell’acquisizione di una vasta gamma di competenze. L’autoefficacia rappresenta a tal proposito un costrutto ben evidenziato come capace di predire i comportamenti ed esiti connessi alla salute. L’analisi di uno studio randomizzato controllato del CDSMP ha evidenziato come la percezione delle dinamiche e dei processi di gruppo fosse un predittore dei risultati più potente rispetto ai contenuti condivisi all’interno del gruppo (Harrison et al., 2011). L’appartenenza ai gruppi è stata evidenziata come un fattore protettivo ed efficace rispetto all’impatto su una serie di variabili, compresi i livelli di depressione e di autoefficacia percepita (Harris et al., 2010). Per alcuni gruppi come per esempio le squadre sportive, l’appartenenza al gruppo può condizionare positivamente la percezione di autoefficacia, nella misura in cui promuove una convinzione condivisa che il gruppo possa raggiungere determinati obiettivi. Una delle componenti che è stata evidenziata preziosa nella gestione della cronicità è rappresentata dal passaggio “dall’io al noi” (Haslam, 2014), che sembra rafforzare molto le dimensioni dell’autoefficacia. Rispetto ai gruppi CDSMP l’ipotesi di partenza è associata al fatto che più gli individui sviluppano un senso di identificazione e appartenenza al gruppo, più si rafforza la visione del gruppo come una risorsa volta al raggiungimento degli obiettivi e ciò stimolerà la fiducia nei confronti della gestione della malattia e riuscirà a predire gli esiti positivi connessi alla salute.
Il presente studio è stato condotto su 213 individui con patologia cronica (diagnosi di malattia polmonare cronica, malattie cardiache, ictus e artrite). Il campione è stato costituito a prevalenza femminile (70%) e con età tra i 44 e gli 88 anni. È stato utilizzato lo Stanford Patient Education Center’s measures of self-efficacy and health outcomes al fine di misurare l’identificazione sociale, l’efficacia derivata dal gruppo, l’auto-efficacia individuale, la percezione dello stato di salute mentale e la percezione dello stato di salute fisica. In particolare, rispetto all’identificazione sociale 12 items hanno valutato come i partecipanti si percepissero come membri appartenenti al gruppo basato sulla telehealth, evidenziando la centralità del gruppo rispetto alla percezione di sé, la loro valutazione di membership e appartenenza e il senso di attaccamento agli altri membri del gruppo. In riferimento al costrutto dell’efficacia percepita dall’appartenenza al gruppo, i partecipanti hanno espresso quanto l’appartenenza al gruppo di telehealth permettesse loro di trarre benefici nella gestione della responsabilità di gestire quotidianamente la propria condizione, percepire “confidenza” nell’abilità di gestire la propria condizione, identificando le barriere di possibile ostacolo, le strategie ottimali per gestire la propria condizione, sviluppare un piano di azione per la gestione della propria condizione e comunicare meglio con gli operatori sociali.
Rispetto alle percezioni di autoefficacia individuale, le misure dell’autoefficacia percepita rispetto alla gestione della malattia cronica, hanno tenuto in considerazione una moltitudine di aspetti correlati all’illness, intesa come vissuto soggettivo della malattia: la fatica, lo sconforto, il distress emozionale, e “altri sintomi o problemi di salute”, l’essere capaci di mettere in atto altre azioni connesse alla gestione della malattia e il sentirsi in grado di mettere in atto azioni quotidiane, oltre alle cure farmacologiche, al fine di gestire quotidianamente la propria condizione. La misura ha permesso di approfondire la “confidenza” percepita nei confronti delle proprie capacità di mettere in atto azioni, al fine di ridurre l’impatto della condizione cronica nella propria quotidianità.
La percezione dello stato di salute mentale è stata misurata attraverso tre indicatori: 5 item della scala di benessere psicologico di Stewart e collaboratori del 1992, che misurano come si sono sentiti nell’ultimo mese, 4 item che misurano il distress e 30 items della Geriatric Depression Scale. Infine, la valutazione dello stato di salute fisica, è stata effettuata attraverso 8 item della Stadford Disability scale, che misura la capacità degli individui di mettere in atto le proprie azioni di vita quotidiana (alzarsi dal letto) e quattro item per la misurazione dell’impatto e delle limitazioni sociali percepite, due item che misurano la severità del dolore.
I risultati evidenziano come l’appartenenza al gruppo sembra essere strettamente correlata alla possibilità di facilitare il raggiungimento degli obiettivi, rafforzando il senso di efficacia nel raggiungimento degli stessi. L’approccio basato sull’identificazione sociale alla salute sembra essere direttamente applicabile all’autogestione delle malattie croniche che, al fine di rafforzare la confidenza e le abilità di adattarsi flessibilmente alle circostanze associate alla gestione della cronicità, potrebbero beneficiare degli effetti massimizzati dall’appartenenza al gruppi. È importante notare come un senso soggettivo di appartenenza non costituisce di per sé una dimensione capace di predire l’efficacia percepita mentre le dimensioni cognitive ed affettive connesse all’identificazione sociale predicono l’efficacia percepita correlata al gruppo. Il presente studio ha elaborato un modello basato sull’autogestione, con l’ipotesi di partenza che il gruppo non sia solo il veicolo di contenuti del programma bensì uno spazio che, attraverso l’identificazione sociale e la costruzione di una specifica piattaforma, possa promuovere l’autoefficacia e conseguentemente stimolare i risultati positivi connessi ad una buona gestione della salute. I risultati sembrano confermare una linea e una direzione di sviluppo importante. Infatti è stato evidenziato come sia l’identità sociale un elemento essenziale nel predire il successo nei programmi di self-management della malattia cronica e come essa risulta migliorare durante e dopo il programma in questione, con un impatto significativo nella confidenza associata alla malattia, sulle convinzioni di autoefficacia percepita, elemento che si associa a sua volta ad un miglioramento significativo della percezione dello stato di salute mentale (mental-ill health: depressione e distress associato alla salute) e fisica (physical ill health: dolore, disabilità, limitazioni).
Per approfondire leggi l’articolo
A cura di Alessandra Moreschini