Operatore sanitario e paziente
Dal modello paternalistico a quello della decisione condivisa
Quanto è importante la relazione tra operatore sanitario e paziente?
Le ultime ricerche scientifiche dimostrano che il coinvolgimento attivo della persona nel suo piano di cura (engagement) risulta un elemento cruciale per un trattamento efficace delle patologia croniche avendo effetti sia sul piano psicologico (es. riduzione dell’ansia) sia sul piano medico (es. migliori outcome, maggiore soddisfazione nella relazione medico-paziente) (Rosenberg, 2007). Ma come si è modificata nel tempo questa relazione? E quali sono stati i principali agenti di cambiamento?
Il modello paternalistico
Ripercorrendo brevemente alcune importanti tappe dell’excursus storico sulla relazione tra operatore sanitario e paziente , lo studioso Stefan Timmermans scatta una fotografia di alcuni passaggi storici rilevanti. A partire dalla metà del secolo precedente, gli operatori sanitari erano all’apice del loro potere: esisteva una grande disparità tra operatore sanitario e paziente in termini di “accesso alle informazioni”. Si trattava, come sostiene l’autore, di uno “stile di comunicazione paternalistico” dove era presente una figura curante dominante – solitamente il medico – in possesso sia delle informazioni che del processo decisionale con un paziente sempre più passivo (Parsons 1951). All’interno di questo modello, gli operatori sanitari, nella loro posizione “up” prendevano decisioni per i loro pazienti con poche spiegazioni e con l’aspettativa che questi ultimi seguissero le loro indicazioni tendendo a fornire diagnosi raccomandazioni terapeutiche come definite e certe (Fox 1957).
Il passaggio a un modello centrato sul paziente
Che cosa succede a questo modello quando l’incidenza delle malattie croniche aumenta considerevolmente?
Sullo sfondo di una transizione epidemiologica che ha portato a una maggiore prevalenza di condizioni croniche il modello paternalistico è entrato in crisi favorendo l’emergere di un modello più simmetrico, centrato sullo sviluppo delle risorse del paziente, orientato anche al potenziamento delle sue capacità di gestione della patologia, indispensabili per ottenere il successo nel processo di cura. Il passaggio all’ “empowerment” del paziente è dovuto anche dal vistoso aumento di cause per negligenza medica che porto all’emergere della cosiddetta “medicina difensiva”. Nella maggior parte dei casi legali, i medici avevano raccomandato interventi chirurgici ma non avevano informato i pazienti dell’intera gamma di rischi. Ciò sollevava la questione se i pazienti fossero in grado di acconsentire veramente alla procedura. Le decisioni dei tribunali portarono all’affermazione dell’“autodeterminazione” del paziente che ha la priorità sul giudizio dell’operatore sanitario”. Alla luce di questi cambiamenti, cominciarono a farsi strada progressivamente nuovi modelli di relazione basate sulle definizioni di “paziente esperto” (expert) o di “pazienti impegnato nella cura” (“engaged”) mettendo in luce la centralità della persona all’interno del processo di trattamento nelle sue varie fasi.
Il percorso verso lo “shared decision making”
Le dinamiche “di potere” tra operatore sanitario e pazienti sono indubbiamente cambiate verso un modello meno asimmetrico di relazione e maggiormente orientato allo sviluppo di competenze nel paziente. Tuttavia, non siamo arrivati al punto di un vero processo decisionale condiviso (shared decision making). I dati a disposizione presenti in letteratura indicano come stiamo così assistendo a passi verso un maggiore coinvolgimento dei pazienti nelle cure mediche. Sebbene la costruzione di un processo decisionale, nell’ambito della relazione medico-paziente, di tipo condiviso e l’erogazione di un trattamento personalizzato (person-centered) siano ancora work in progress, la comunicazione sanitaria odierna non assomiglia più alla cura paternalistica dei primi tempi. Se il nostro obiettivo è comprendere la relazione medico-paziente, migliorare i risultati dell’assistenza sanitaria e ridurre le disuguaglianze di salute, dobbiamo analizzare come operatori sanitari e i pazienti dialoghino tra loro. L’apporto della psicologia è essenziale nel promuovere la ricerca in questa direzione per comprendere come all’interno di un contesto che valorizza le abilità e le risorse della persona-paziente, non si corra il rischio di depotenziare la figura dell’operatore sanitario, all’interno di una rinnovata relazione che punti alla soddisfazione e alla qualità della vita di entrambe le parti. La risorsa del “team” può essere una chiave di svolta per superare la dicotomia medico-paziente e allargare il processo decisionale a una multidisciplinarietà integrata.
Charles E.Rosenberg 2007. Our Present Complaint: American Medicine, Then and Now. Baltimore: Johns Hopkins University Press. Stefan Timmerman 2020. The Engaged Patient:The Relevance of Patient–Physician Communication for Twenty-First-Century Health. A cura di Francesco Marchini e Alessandra Moreschini