L’impatto della malattia sulle persone affette da Alzheimer ed i loro familiari. Verso un modello integrato di gestione.

Psicologia in Cronicità

L’impatto della malattia sulle persone affette da Alzheimer ed…

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa caratterizzata da disturbi della memoria, problemi nell’utilizzo del linguaggio, nell’esecuzione dei gesti e disorientamento. Secondo il World Alzheimer Report del 2015 (Alzheimer’s Disease International, 2015) attualmente sono circa 46 milioni le persone affette da demenza e si stima che il numero tenderà a raggiungere i 131 milioni entro il 2050.

Il progressivo declino delle funzioni cerebrali comporta una difficoltà sempre più crescente nel paziente di svolgere le attività di vita quotidiana (activities of daily living) tra cui mangiare, lavarsi o vestirsi. Ciò rende la persona affetta da Alzheimer dipendente da altri, generalmente i propri familiari.

L’impatto della malattia sul sistema familiare secondo un’ottica sistemica

Gli studi psicologi sulla famiglia mettono in evidenza che la sua organizzazione ruota attorno a caratteristici compiti evolutivi in specifiche fasi del suo ciclo di vita (nascita, età adulta, vecchiaia, morte), nelle quali i suoi membri si trovano ad affrontare le sfide evolutive di eventi attesi (normativi) e inattesi o traumatici (paranormativi). La malattia, cronica nel caso del morbo di Alzheimer, rappresenta un caso di evento inatteso di fronte al quale la famiglia si trova a dover riorganizzare il suo sistema, in particolare quando vengono alterati ruoli e funzioni dei suoi membri fino ad allora ricoperti in maniera peculiare. Spesso la perdita di un membro all’interno della famiglia, riferita anche ad una funzione o ad un ruolo specifico ricoperto (ad es. una madre fino ad allora collante dei rapporti familiari), mette in crisi il sistema. A fronte di ciò, si rivela necessario sostenere la famiglia tramite interventi di supporto specifici al fine di creare nuovi equilibri in un’ottica più funzionale per ciascun componente, ma anche a scopo preventivo affinché non vi sia un impatto distruttivo sulla qualità di vita dei singoli membri.

L’avanzamento dei sintomi, infatti, comporta un peggioramento della qualità di vita dei caregivers che spesso sviluppano sindrome da esaurimento emotivo (caregiver burden) e sintomi depressivi. Ciò non solo va a deteriorare la relazione tra familiare e paziente, ma interferisce, certamente, con le capacità di fornirgli assistenza (Koca et al., 2017).

Le caratteristiche cliniche dei pazienti (quali i sintomi neuropsichiatrici, il livello di funzionamento, la salute generale, lo stato di avanzamento), il livello dei servizi e il sesso femminile del caregiver sembrano essere i migliori predittori di questo carico.

Il supporto specialistico (assistenza domiciliare, stimolazione cognitiva, supporto psicologico individuale e familiare) migliora la possibilità di convivere con la patologia e costruire un piano di vita sostenibile per il paziente e il caregiver (ad es.: Howe, 2008; Cross et al., 2018). In particolare si dimostrano molto utili gli interventi di psicoeducazione rivolti al paziente e ai familiari, attraverso i quali vengono fornite informazioni sulla malattia e sull’organizzazione delle cure e vengono incrementate le abilità di gestione dei sintomi (Frias et al., 2019). Lo scopo è quello di supportare il paziente e al contempo di alleggerire la vita dei familiari che spesso si trovano a dover adattare tutta la loro vita intorno alla malattia del proprio caro, con conseguenti danni alla propria salute nonché difficoltà sul versante economico (un’alta percentuale di essi è costretta a lasciare il proprio lavoro).

Gli studi (Maki & Hattori, 2019) evidenziano inoltre l’importanza di non identificare il paziente unicamente con la sua malattia, quanto piuttosto valorizzare le sue capacità residue per facilitare una migliore espressione di sé stessi nonostante i cambiamenti introdotti dal morbo. A riguardo, si rivela importante fare attenzione al paradigma linguistico utilizzato, ovvero pensare al soggetto affetto da Alzheimer come ad una “persona con demenza” e non soltanto come ad un soggetto invalido, consente di relazionarsi concependolo come ancora portatore di vitalità e risorse. E’ un compito difficile poiché i familiari si trovano ad interagire e ad accudire una persona presente fisicamente ma assente psicologicamente, con la quale non è più possibile avere lo stesso tipo di relazione. Il malato viene identificato unicamente con la nuova condizione nel tentativo di preservare l’identità del caro (Perdighe et al., 2019). Tuttavia, tali meccanismi limitano la possibilità di valorizzare le capacità residue del paziente e di relazionarsi a lui come portatore di risorse.

Per poter attuare questi principi è necessario combattere lo stigma sociale, giacché uno dei principali fattori di rischio per l’ingravescenza del morbo è l’autoisolamento cui si sottopongono le persone con demenza, il più delle volte per vergogna o per paura di non essere comprese, così come le loro famiglie che via via rinunciano a partecipare alla vita di comunità (Kovaleva et al., 2021).

Interventi per il paziente, i caregivers, la comunità

La letteratura riporta numerosi esempi di interventi che hanno aiutato il paziente e i propri familiari a conoscere la malattia di Alzheimer e, in generale, le demenze e a migliorare le competenze dei caregivers. (Nardi et al., 2019). I risultati di questi studi hanno impattato in maniera positiva sulle modalità di comunicazione e di relazione usate nei riguardi di persone con Alzheimer, sia all’interno che all’esterno degli spazi abitativi del paziente. Si pensi agli accorgimenti adottati nell’organizzazione degli spazi delle abitazioni o delle case di cura (colore delle pareti, illuminazione, modulazione dei suoni), estesi poi agli esercizi commerciali, ad es. le farmacie, con l’obiettivo di creare un collante tra la comunità e il sistema curante, dove la persona può sentirsi accolta e al sicuro. Nel 2016 nasce il progetto “Comunità amiche delle persone con demenza” grazie a Federazione Alzheimer Italia con l’obiettivo di rendere le comunità più vicine ai bisogni delle persone con demenza e ridurre lo stigma sociale e l’emarginazione non solo dei pazienti ma anche dei familiari. Nell’ambito dello stesso progetto è stato promosso il progetto “Alzheimer: farmacie amiche delle persone con demenza” in collaborazione con Federfarma, con lo scopo di fornire ai farmacisti consigli e indicazioni per rendere i presidi maggiormente accoglienti per le persone con demenza.

In accordo con quanto previsto dal Piano Nazionale Demenze, al fine di preparare il sistema sanitario alla gestione attuale e futura della malattia, diventa necessario potenziare il sistema sociale in modo che determini valore per tutti.

Costruire una rete integrata di interventi significa anche restituire al tessuto sociale la responsabilità di accogliere l’imprevedibilità dell’esistenza umana, con le sue risorse e fragilità. Per poterlo fare al meglio occorre che la popolazione sia maggiormente sensibilizzata al tema e che le persone in condizione di fragilità possano partecipare alla vita sociale della propria comunità senza limitazioni.

L’OMS ha riconosciuto l’intervento sulle demenze come priorità per la salute pubblica e nel maggio 2017 l’Assemblea mondiale della sanità ha approvato il Piano d’azione globale sulla risposta della salute pubblica alla demenza 2017-2025 (OMS, Global action plan on the public health response to dementia, 2017) con lo scopo di creare un protocollo d’azione per i responsabili politici, i partner internazionali, regionali e nazionali. Il piano prevede di aumentare la consapevolezza sulla patologia e creare una società che includa le persone con demenza al fine di ridurne i rischi, sia da un punto di vista personale (segni clinici premonitori; stile di vita equilibrato) che familiare (se correttamente informati e adeguatamente supportati, i familiari che dispensano cure corrono un minor rischio di sviluppare patologie da stress correlato), nonché economico e sociale.  Il piano, inoltre, fornisce protocolli per la diagnosi, il trattamento e la cura; predispone sistemi informativi, sia per il personale medico che per i familiari per supportare coloro che si prendono cura a vari livelli. Infine prevede attività di ricerca e innovazione (OMS, Global action plan on the public health response to dementia, 2017). L’obiettivo è dunque potenziare la risposta sanitaria globale per migliorare la qualità di vita delle persone che sviluppano tale patologia, unitamente al suo sistema curante.

In Italia il Piano Nazionale Demenze (https://demenze.iss.it/piano-nazionale-demenze/ ) persegue gli stessi obiettivi, anche tramite la creazione di una rete integrata per le demenze e la realizzazione di una gestione integrata della malattia

Indirizzi utili a cui rivolgersi.

In Italia è possibile accedere ad una rete di servizi pubblici deputati alla valutazione, alla diagnosi e al trattamento dei disturbi cognitivi e delle demenze. Tramite il portale dell’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è possibile accedere ad indirizzi e informazioni utili: https://demenze.iss.it/mappaservizi/ .

Bibliografia

Cross, A,J, Garip, G, Sheffield, D, (2018) The psychosocial impact of caregiving in dementia and quality of life: a systematic review and meta-synthesis of qualitative research, Psychology & Health 1321-1342

Connors, M. H., Seeher, K., Teixeira‐Pinto, A., Woodward, M., Ames, D., & Brodaty, H. (2020) Dementia and caregiver burden: a three‐year longitudinal study. International journal of geriatric psychiatry35(2), 250-258.

Frias, Ce, Garcia-Pascual, M, Montoro, M, Ribas, N, Risco, E, Zabalegui, A. (2020) Effectiveness of a psychoeducational intervention for caregivers of People With Dementia with regard to burden, anxiety and depression: A systematic review. J Adv Nurs. 76: 787– 802.

Howe E. (2008). Improving the quality of life in patients with Alzheimer’s disease. Psychiatry5(8), 51–56.

Kang, H. S., Myung, W., Na, D. L., Kim, S. Y., Lee, J. H., Han, S. H., Choi, S. H., Kim, S., Kim, S., & Kim, D. K. (2014). Factors associated with caregiver burden in patients with Alzheimer’s disease. Psychiatry investigation, 11(2), 152–159.

Kovaleva, M., Spangler, S., Clevenger, C., & Hepburn, K. (2018). Chronic stress, social isolation, and perceived loneliness in dementia caregivers. Journal of psychosocial nursing and mental health services, 56, 36-43.

Maki, Y., & Hattori, H. (2019). Rehabilitative Support for Persons with Dementia and Their Families to Acquire Self-Management Attitude and Improve Social Cognition and Sense of Cognitive Empathy. Geriatrics 4, 26.

Nardi, A., De Vito, C., Mele, A., Migliara, G., Prencipe, G., Massimi, A., Rega, M., Casasanta, D., Anderson, G., Villari, P., Damiani, G., Interventi educativi sui caregiver delle persone con demenza per la gestione dei sintomi comportamentali e psicologici: revisione sistematica della letteratura, Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, S.L. 2019: 277-277

OMS, (2017), Global action plan on the public health response to dementia 2017-2025.

Perdighe, C., D’Innocenzo, A., Rosamilla, P., de Sanctis, B., Gragnani, A., & Cassetta, E. (2019). Caregiver di pazienti con alzheimer: un intervento basato sull’ACT a 12 sedute. Cognitivismo clinico, 16, 140-158.

A cura di Caterina Gradia e Martina Ruggiero.